LA CORTE D'ASSISE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel corso del dibattimento a
  carico  di  Deledda  Salvatore, Deledda Giovanni e Satta Salvatore,
  imputati  del  reato di omicidio volontario pluriaggravato in danno
  di  Moreddu Ciriaco, questa Corte ammetteva, ai sensi dell'art. 507
  del  codice  di  procedura penale come testimoni Deledda Antonina e
  Deledda  Graziano,  rispettivamente madre e fratello degli imputati
  Deledda Salvatore e Deledda Giovanni.
    I  predetti  testi,  avvertiti  della  facolta'  di astenersi dal
  testimoniare ai sensi dell'art. 199 del codice di procedura penale,
  dichiaravano che intendevano avvalersi di tale facolta'.
    A questo punto il pubblico ministero chiedeva l'acquisizione e la
  successiva   lettura   dei   verbali   di   sommarie   informazioni
  testimoniali  rese  dai  testi in discorso nel corso delle indagini
  preliminari  sia alla P.G. che al P.M., facendo rilevare che si era
  proceduto,   prima   dell'assunzione   di  dette  informazioni,  ad
  avvertire   le  persone  informate  sui  fatti  della  facolta'  di
  astenersi  dal  rendere dichiarazioni in considerazione dei vincoli
  di  parentela  con  gli  indagati  e che, nondimeno, sia la Deledda
  Antonina che il Deledda Graziano non avevano inteso avvalersi della
  facolta' loro concessa.
    Sentiti  i  difensori  delle  parti  civili  e degli imputati, si
  osserva:
        il  problema della possibilita' per il teste di avvalersi, ai
  sensi  dell'art. 199 del codice di procedura penale, della facolta'
  di non testimoniare e' stato oggetto di un giudizio di legittimita'
  costituzionale in via incidentale definito con sentenza 9-16 maggio
  1994, n. 179.
        Con  tale sentenza veniva dichiarata non fondata la questione
  di  legittimita'  costituzionale  degli articoli 500, comma 2-bis e
  512 del codice di procedura penale con riferimento agli articoli 2,
  3, 24, 25, 76, 101, 111 e 112 della Costituzione.
    Rilevava  in  particolare la Corte che, ove il prossimo congiunto
  accetti  di  deporre,  egli  assume,  al  pari  di  qualsiasi altro
  soggetto,  tutti  gli  obblighi  che a tale qualita' l'art. 198 del
  codice  di  procedura penale ricollega, essendo cessate, per scelta
  dello stesso interessato che non ha inteso avvalersi della facolta'
  riconosciutagli  dall'art. 199  del  codice di procedura penale, le
  ragioni   che   giustificavano  la  tutela  della  sua  particolare
  posizione.
    Ulteriore  corollario  di tale principio era che la testimonianza
  cosi'  acquisita  doveva  ritenersi  legittimamente  e  stabilmente
  acquisita;  la  dottrina  e  la  giurisprudenza  avevano ampiamente
  dibattuto   "se  la  rinunzia  precludesse  al  prossimo  congiunto
  l'esercizio successivo del diritto in esame" ma era certamente fuor
  di    dubbio    che   l'acquisizione   della   prova   testimoniale
  legittimamente    assunta    non   potesse   "essere   condizionata
  dall'eventualita'  di  una  successiva  invalidazione  da parte del
  teste  nel  caso  di  un  suo  tardivo  esercizio della facolta' di
  astensione"  e  cio' in quanto non esisteva nell'ordinamento alcuna
  disposizione che autorizzava un'interpretazione del genere.
    Osservava  ancora la Corte che, una volta assolto, da parte della
  P.G.  o  del  P.M., l'obbligo di dare avviso alla persona informata
  sui   fatti   della   facolta'  di  astensione,  e  una  volta  che
  l'interessato  avesse rinunziato alla facolta' di astenersi, le sue
  dichiarazioni  erano  legittimamente  assunte  e pertanto le stesse
  avrebbero dovuto seguire il regime proprio di questi atti anche ove
  il  dichiarante  avesse deciso, successivamente, di astenersi dalla
  testimonianza dibattimentale.
    La  Corte,  pertanto,  riteneva  che  l'art. 512  del  codice  di
  procedura  penale,  interpretato  alla stregua delle considerazioni
  prima esposte, non precludesse "la lettura delle dichiarazioni rese
  alla  P.G.  o  al  P.M.  nel  corso  delle indagini preliminari dai
  prossimi  congiunti  dell'imputato  citati  come testi che si siano
  avvalsi a dibattimento della facolta' di non rispondere", ritenendo
  altresi'  che  non avesse, invece, ragion d'essere ogni riferimento
  all'art. 500,  comma  2-bis,  concernendo  tale norma l'ipotesi del
  testimone che, pur avendone l'obbligo giuridico, rifiuti di rendere
  testimonianza,  mentre  al  contrario,  nel caso in esame si era in
  presenza   di  persona  che  legittimamente  rifiutava  di  rendere
  testimonianza.
    Cio' premesso, deve rilevarsi come successivamente alla decisione
  in   tema   di   legittimita'  costituzionale  qui  richiamata  sia
  intervenuta  una modifica dell'art. 111 della Costituzione ad opera
  della legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, nel senso che si
  e'  introdotto nell'ordinamento costituzionale il principio secondo
  il  quale  "il  processo  penale  e'  regolato  dal  principio  del
  contraddittorio  nella  formazione  della  prova", con la ulteriore
  specificazione  che  "la colpevolezza dell'imputato non puo' essere
  provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta,
  si   e'   sempre   volontariamente   sottratto   all'interrogatorio
  dell'imputato o del suo difensore".
    Occorre  anche  rilevare  come  la norma transitoria del predetto
  art. 111  della Costituzione preveda, all'art. 1, primo comma, che,
  "fino  all'entrata  in vigore della legge di attuazione, i principi
  di  cui all'art. 111 della Costituzione si applicano ai processi in
  corso,   salve  le  regole  contenute  nei  commi  successivi".  In
  particolare  il  secondo  comma prevede che " le dichiarazioni rese
  nel  corso  delle indagini preliminari da chi, per libera scelta si
  e'  sempre  volontariamente sottratto all'esame dell'imputato e del
  suo  difensore,  sono  valutate, se gia' acquisite al fascicolo del
  dibattimento, solo se la loro attendibilita' e' confermata da altri
  elementi di prova, assunti o formati con diverse modalita'".
    E'  di  tutta evidenza che la norma transitoria di cui al secondo
  comma  dell'art. 1  precitato  non possa trovare applicazione nella
  fattispecie  in  esame  posto  che i verbali contenenti le sommarie
  informazioni  rese  dai  testi alla P.G. ed al P.M. nel corso delle
  indagini preliminari non sono state inserite, ne' potevano esserlo,
  nel  fascicolo  formato  per il dibattimento ai sensi dell'art. 431
  del codice di procedura penale.
    Cio'  premesso, l'art. 512 del codice di rito che consente, anche
  alla  luce  dell'interpretazione  datane dalla Corte costituzionale
  nella  sentenza  prima  richiamata,  la lettura previa acquisizione
  delle  dichiarazioni  rese  nel corso delle indagini preliminari da
  testi  che  al dibattimento abbiano inteso avvalersi della facolta'
  di non testimoniare, benche' ritualmente avvertiti in precedenza di
  tale  loro facolta', si pone in evidente contrasto con il principio
  del  contraddittorio come disciplinato nel vigente quarto comma del
  novellato  art. 111  della Costituzione, in quanto la lettura delle
  predette  dichiarazioni  non  consentirebbe  alle parti processuali
  diverse dal P.M. di procedere al controesame del teste.
    Parimenti,   non   puo'  ritenersi  in  linea  con  il  principio
  costituzionale  del  contraddittorio  la possibilita' di effettuare
  contestazioni ai sensi dell'art. 500, commi 2-bis e 4 del codice di
  procedura  penale,  ove  si ritenesse applicabile nel caso in esame
  l'ingresso  delle  dichiarazioni  attraverso  il  meccanismo  della
  contestazione,  in  quanto  ne risulterebbe pur sempre vulnerato il
  principio   del  contraddittorio,  trattandosi  di  testimoni  che,
  nell'esercizio di una loro legittima facolta', rifiutano di rendere
  testimonianza  e  non  gia'  di  testi  che  nel  corso  dell'esame
  dibattimentale   rendano   dichiarazioni   difformi  da  quelle  in
  precedenza rese nel corso delle indagini preliminari.
    In definitiva, pare che le norme processuali attualmente vigenti,
  che  pur  consentirebbero  l'ingresso al dibattimento o mediante il
  meccanismo   della   lettura  previa  acquisizione  dei  verbali  o
  attraverso   quello   delle   contestazioni   delle   dichiarazioni
  precedentemente  rese dai testi Deledda Antonina e Deledda Graziano
  si  pongano  in contrasto con l'art. 111 della Costituzione, da cui
  la  necessaria  conseguenza che ogni sindacato sulla conformita' di
  tali  norme  al  dettato  costituzionale debba essere sottoposta al
  giudizio della Corte costituzionale.
    Si  osserva,  infine,  che  la decisione in ordine alla questione
  sollevata  appare rilevante ai fini della decisione, trattandosi di
  testi   la   cui  audizione  la  Corte  ha  ritenuto  assolutamente
  necessaria ai fini del decidere.